S. Messa Quotidiana Registrata a Cristo Re Martina F. Mese di Dicembre 2010 Pubblicata anche su YOUTUBE
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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-05-11 ad oggi 2010-05-21 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)"il punto è come vivere la solidarietà all'interno del Paese" I vescovi aprono al federalismo Ma bocciano quello fiscale: "Fallirà" Per la Cei il sistema fiscale così come è stato concepito fino ad ora rischia di moltiplicare il centralismo Il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente Cei (Ansa) Il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente Cei (Ansa) CITTÀ DEL VATICANO - I vescovi italiani non hanno pregiudizi nei confronti del federalismo "previsto tra l'altro dalla Costituzione". Ma "il punto è come vivere la solidarietà all'interno del Paese". Per la Cei, in sostanza, il sistema fiscale "è l'architrave" del processo federalista ma così come è stato concepito fino ad ora rischia di moltiplicare il centralismo senza aprire la porta alla sussidiarietà e ai poterei decentrati sul territorio. |
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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-05-11 ad oggi 2010-05-21 |
AVVENIRE per l'articolo completo vai al sito internet http://www.avvenire.it2010-05-21 19 Maggio 2010 PARLAMENTO Federalismo fiscale, via libera dal Consiglio dei ministri Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera definitivo al primo dei decreti attuativi del federalismo fiscale, quello sul demanio. Il provvedimento entrerà in vigore dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale che dovrebbe avvenire già domani.
MENO TRASFERIMENTI DOPO CONSEGNA BENI A ENTI LOCALI Il governo, secondo l'accordo politico raggiunto in commissione bicamerale, recepirà nel testo del decreto legislativo il parere approvato ieri. Entro un anno sarà messa a punto una prima lista dei beni disponibili. Ne faranno parte i beni del demanio idrico, marittimo, gli aeroporti di interesse locale e soprattutto gli immobili della difesa. A fronte della consegna dei beni, con decreto del presidente del Consiglio, su parere del ministro dell'Economia, saranno ridotti i trasferimenti statali agli enti locali per un importo pari a quello del bene trasferito a partire dall'anno fiscale successivo alla data del trasferimento del bene. In base ai dati forniti dall'Agenzia del demanio, il valore dei beni che saranno resi disponibili ammonta a 3,2 miliardi, ripartiti in 1,9 miliardi in immobili e 1,3 miliardi in terreni. Le Regioni e gli enti locali interessati dovranno presentare domanda per vedersi affidare l'immobile. L'operazione sarà ripetuta ogni due anni. Regioni, Province, Comuni e Comunità montane dovranno garantire la "massima valorizzazione funzionale" dei beni ceduti. BENI VALORIZZABILI ANCHE CON FONDI E CDP Le spese di ristrutturazione non saranno calcolate ai fini del patto di stabilità interno fino alla quota sostenuta dallo Stato centrale prima della dismissione. In base al testo licenziato in commissione, il Parlamento chiede al governo di inserire nel decreto la previsione che se le amministrazioni locali decideranno di cedere gli immobili, il ricavato dovrà andare a riduzione del debito. O, meglio, il 75% del guadagno servirà a ridurre i debiti degli enti locali, il restante 25% confluirà nel fondo di ammortamento dei titoli emessi dallo Stato centrale. I beni trasferiti agli enti locali potranno essere conferiti anche a uno o più fondi comuni di investimento. Novità dell'ultim'ora, anche la Cassa depositi e prestiti potrà partecipare ai fondi. Comuni e Regioni potranno diventare titolari non solo degli immobili dismessi, ma anche di fiumi, laghi e spiagge. I fiumi che attraversano più regioni, come il Po o il Tevere, resteranno sempre in mano allo Stato. I laghi interregionali, come quelli di Maggiore e Garda, potranno essere trasferiti previa intesa fra le regioni, in base a un emendamento approvato in commissione e presentato dal relatore Massimo Corsaro.
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CORRIERE della SERA
per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.corriere.it2010-05-21 LA LEGGE CHE TRASFERISCE ALLE REGIONI I BENI PUBBLICI Arriva il sì al federalismo demaniale Patto Idv-Lega. Bossi: "Primo passo" Conferenza stampa congiunta Di Pietro-Calderoli. Tremonti: "La vera difficoltà è vendere il patrimonio" LA LEGGE CHE TRASFERISCE ALLE REGIONI I BENI PUBBLICI Arriva il sì al federalismo demaniale Patto Idv-Lega. Bossi: "Primo passo" Conferenza stampa congiunta Di Pietro-Calderoli. Tremonti: "La vera difficoltà è vendere il patrimonio" Il ministro della Semplificazione , Roberto Calderoli (Ansa) Il ministro della Semplificazione , Roberto Calderoli (Ansa) MILANO - La Bicamerale presieduta da Enrico La Loggia ha approvato il parere favorevole, con alcune condizioni, al primo decreto legislativo della riforma, quello sul federalismo demaniale, il decreto che fissa i principi generali e le procedure per regolare il trasferimento di parti del patrimonio immobiliare dello Stato a favore degli enti territoriali. E che consegnerà alle regioni spiagge, fiumi, laghi e una bella fetta di caserme non più utilizzate dai militari. Il Pd si è astenuto. Voto contrario solo di Udc e Ap. L'ACCORDO LEGA-IDV - Vincente l'accordo Antonio Di Pietro e Roberto Calderoli. Il leader dell'Italia dei Valori e il ministro leghista della Semplificazione si erano presentati in una conferenza stampa congiunta, annunciando il "punto d'incontro" fra i due partiti.."Ci dispiace -ha sottolineato l'ex pm- che alcuni dopo aver contribuito a costruire un buon strumento non hanno il coraggio di assumersene la responsabilità. L'Italia dei Valori non si astiene mai, perché non è politica la politica che non decide, non sono buoni pastori quelli che non sanno indicare la strada". Il federalismo demaniale, ha proseguito Di Pietro, così come è stato formulato con un "lavoro di insieme", "può essere un provvedimento che unisce ed è un peccato che invece sia un’ennesima fonte di divisione". Nel merito del provvedimento l’ex pm ha osservato che "finora i beni demaniali sono stati solo un costo a perdere, abbandonati a se stessi e lasciati a speculatori e incuria". La riforma, però, farà in modo che questi beni "abbiano un’identità certa: allo Stato quelli dello Stato, agli enti locali, che ne saranno responsabili, gli altri. Se applicato bene il federalismo demaniale permette di avere vantaggi e non costi". TAGLIARE LE DUPLICAZIONI - Proprio sui costi del federalismo, al centro di una lunga querelle con l’opposizione, è intervenuto Calderoli spiegando che "il federalismo nasce proprio per ridurli, per ridurre la pressione fiscale e dare più servizi". "Solo se lo si applica male - ha concluso il ministro - nascono duplicazioni. E noi, in questo momento, stiamo proprio tagliando quelle che sono state fatte in passato. Quindi parlare di costi occulti è un non-sense". TREMONTI - "Una valenza di carattere costituzionale, con un elevato valore simbolico". Questo è il giudizio del Ministro del Tesoro, Giulio Tremonti. "La vera difficoltà risiede nella vendita del patrimonio immobiliare", dice il ministro secondo il quale in prospettiva occorre "costituire un apposito fondo finalizzato alla gestione e valorizzazione dei beni oggetto di trasferimento". E aggiunge: "l'ipotesi di utilizzare i proventi dei cespiti patrimoniali acquisiti ad abbattimento del debito nasce al fine di evitare forme di elusione nella disciplina sui conti pubblici". Per il ministro del Tesoro è arduo vendere i beni. "È questa - ha osservato - la reale difficoltà da superare". I L'OPPOSIZIONE E LE CRITICHE- Un testo migliorato ma non soddisfacente per il capogruppo del Pd, Dario Franceschini che così spiega la scelta di astenersi del suo partito: "è utile mantenere l'unico spazio di confronto sul merito che abbiamo in Parlamento". L'attuazione del federalismo "è un provvedimento importante e per questo manteniamo la nostra disponibilità al confronto. Sugli altri decreti valuteremo caso per caso". Un decreto inadeguato per Davide Zoggia, responsabile Enti locali del Pd. "Non tiene conto della crisi", attacca, "e, quindi, del risanamento dei conti. E non tiene conto neppure degli enti locali, ai quali non dà l'effettiva possibilità di governare. Il concetto federalista della Lega continua a essere imperniato sulla concessione agli enti locali e non su una effettiva autonomia e responsabilizzazione. Il Pd, quindi, per senso di responsabilità e in linea con l'astensione alla legge delega sul federalismo votata un anno fa, si è astenuto". Più dura la critica dei Verdi, sia sul contenuto sia sull'appoggio dato da Di Pietro al decreto. "Il Federalismo demaniale non è nient’altro che una mega svendita dei beni di stato consentendo una speculazione senza precedenti - dice il presidente dei Verdi Angelo Bonelli -. I Comuni, infatti nell’80% dei casi saranno costretti alla vendita non solo per ripianare il debito ma anche perché i deficit di comuni, province e regioni non consentono di sostenere i costi di manutenzione e gestione dei beni". Quanto all'Idv "la decisione è vergognosa. Sono inaudite sciocchezze quelle dette da Di Pietro per cui siccome i beni del Demanio rendono poco allora meglio venderli. Non viene in mente a Di Pietro che invece di regalare il patrimonio di Stato ai poteri forti si poteva fare una riforma per far pagare i giusti canoni per le concessione demaniali e le sorgenti idriche?" Redazione Online 19 maggio 2010(ultima modifica: 20 maggio 2010)
2010-05-11 "il punto è come vivere la solidarietà all'interno del Paese" I vescovi aprono al federalismo Ma bocciano quello fiscale: "Fallirà" Per la Cei il sistema fiscale così come è stato concepito fino ad ora rischia di moltiplicare il centralismo "il punto è come vivere la solidarietà all'interno del Paese" I vescovi aprono al federalismo Ma bocciano quello fiscale: "Fallirà" Per la Cei il sistema fiscale così come è stato concepito fino ad ora rischia di moltiplicare il centralismo Il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente Cei (Ansa) Il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente Cei (Ansa) CITTÀ DEL VATICANO - I vescovi italiani non hanno pregiudizi nei confronti del federalismo "previsto tra l'altro dalla Costituzione". Ma "il punto è come vivere la solidarietà all'interno del Paese". Per la Cei, in sostanza, il sistema fiscale "è l'architrave" del processo federalista ma così come è stato concepito fino ad ora rischia di moltiplicare il centralismo senza aprire la porta alla sussidiarietà e ai poterei decentrati sul territorio. La critica è contenuta nel documento preparatorio della prossime "Settimane sociali", l'appuntamento storico del cattolicesimo italiano, che si terranno a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre. Il documento è stato presentato nella sede della Radio Vaticana dal presidente del comitato organizzatore delle Settimane sociali, monsignor Arrigo Miglio, capo della commissione problemi sociali della Cei, dal vicepresidente del Comitato, il professor Luca Diotallevi e dal portavoce della conferenza episcopale, mons. Domenico Pompili. "SI MEDITI SU DUALISMI E DIFFERENZE" - Nel documento sul Mezzogiorno di febbraio, ha sottolineato Miglio, sono state già individuate alcune caratteristiche che il federalismo, compreso quello fiscale, deve avere perché il Paese "possa continuare a essere solidale". "Abbiamo a che fare - si legge nel documento preparatorio - con politiche di riforma caratterizzate da elementi di incertezza a metà strada tra un funzionale compromesso fra principi di uguale valore e la produzione di decisioni-manifesto, spendibili sul piano del consenso ma fragili sul piano dell'architettura istituzionale e del tasso reale di innovazione". Perciò, aggiunge il testo, è "opportuno" meditare su "dualismi e differenze territoriali del Paese" evitando "effetti perversi" quali "il federalismo da abbandono". I TEMI - Più in generale i vescovi italiani si dicono disponibile a contribuire al "delicato e importante" tema delle "riforme istituzionali". E in vista della 46esima "Settimana sociale" suggeriscono d "spostare la pressione fiscale dal lavoro e dagli investimenti alle rendite" per "ridistribuirla orizzontalmente". Non manca nel documento Cei un riferimento al tema dell'immigrazione. "Il riconoscimento della cittadinanza da parte dello Stato italiano è solo una condizione, certo necessaria ma non sufficiente, per una piena interazione/integrazione delle seconde generazioni nella società italiana - scrivono i vescovi -. Riconoscere e far rispettare i diritti dei figli dell'immigrazione è infatti una responsabilità collettiva che investe tutte le istituzioni e tutti gli individui". Redazione online 10 maggio 2010
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REPUBBLICA per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.repubblica.it/2010-05-14 FEDERALISMO Spiagge, laghi, caserme e terreni conto alla rovescia per la cessione Primo sì al passaggio dallo Stato alle autonomie locali. Il parere della commissione parlamentare. Alle Regioni il demanio idrico e marittimo. Previsti i fondi immobiliari, il ricavato andrà a ridurre il debito o agli investimentidi ALBERTO D'ARGENIO Spiagge, laghi, caserme e terreni conto alla rovescia per la cessione ROMA - Fiumi e laghi che attraversano più regioni, come il Po e il Garda, rimarranno in capo allo Stato. Così come il Quirinale, le sedi di Camera e Senato e quelle degli altri organi di "rilevanza costituzionale". Spiagge e caserme dismesse passeranno invece agli enti locali. Mentre in commissione bicamerale compare la bozza di parere sul federalismo demaniale - che prevede un via libera condizionato al progetto leghista - è braccio di ferro tra Carroccio e opposizione sul calendario. La Lega è decisa a portare la creatura del ministro alla Semplificazione Roberto Calderoli al prossimo Consiglio dei ministri utile, probabilmente quello della prossima settimana, mentre Pd, Idv e Api hanno chiesto qualche giorno in più per risolvere i nodi ancora aperti, costi dell'operazione demaniale in testa. La bozza sul primo tassello del federalismo fiscale è stata discussa ieri dalla bicamerale. A sorpresa presente il leader leghista Umberto Bossi, arrivato a dar manforte a Calderoli. La proposta di parere messa a punto da Marco Causi (Pd) e Massimo Corsaro (Pdl) pone alcuni paletti in grado di dare qualche nuova indicazione sulla faccia che assumerà l'Italia federalista. Per quanto riguarda il demanio idrico, i relatori hanno suggerito di escludere i beni "di ambito sovra regionale", come appunto il Po e il Lago di Garda, da quelli trasferibili. Gli specchi d'acqua "chiusi e privi di emissari di superficie", come il Lago di Bracciano, andrebbero invece alle province. Per il resto i beni del demanio idrico e marittimo, come le spiagge, saranno trasferiti alle regioni, anche se una quota dei proventi derivanti dalle concessioni andrà alle province.
Secondo il parere, entro un anno andranno quindi individuati i beni del ministero della Difesa, le caserme dismesse, da trasferire agli enti locali. Sono previste anche sanzioni per gli enti che non rispetteranno gli obiettivi per cui hanno richiesto l'assegnazione di un bene. Ad ogni modo le spese per la gestione non peseranno ai fini del Patto di stabilità interno per un importo pari a quanto lo Stato già spendeva per la gestione dello stesso bene. Se un ente venderà il bene ricevuto dovrà usare l'85% dell'incasso per abbattere il suo debito (in caso di attivo dovrà reinvestire) mentre il 15% andrà al fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato. La bozza della bicamerale suggerisce poi che ogni 2 anni vengano attribuiti agli enti locali i nuovi beni "eventualmente resisi disponibili". Dopo la discussione del testo la Lega ha fatto sapere di voler portare il federalismo demaniale al più presto al Consiglio dei ministri. Un modo per centrare l'obiettivo della sua approvazione entro un anno dall'entrata in vigore della delega, e cioè il prossimo 21 maggio. L'opposizione ha invece chiesto più tempo per affinare il testo. Bossi ha smentito qualsiasi tipo di problema sulla questione dei costi ("col federalismo lo Stato ci guadagna") o con Tremonti ("con lui è tutto a posto") ma ha sottolineato: "Vedo che la sinistra vuole allungare un po' i tempi". Anche per questo il Senatur si è fatto vedere nel pomeriggio alla bicamerale insieme a Calderoli, che da mesi è al lavoro sul decreto demaniale, il primo tassello della realizzazione pratica del progetto federalista approvato un anno fa. E sul calendario ha vinto il centrodestra, approvando a maggioranza (contrario il Pd) la proposta che fissa il voto sul parere per mercoledì prossimo. Il democratico Francesco Boccia ha avvertito che la fretta potrebbe essere letale. L'Udc deciderà nei prossimi giorni il proprio orientamento: "Ci siamo riservati di riesaminare il testo che ha accolto alcune nostre spiegazioni", ha spiegato il centrista D'Alia. Critica l'Api, che con Linda Lanzillotta ha sottolineato il rischio di un "supermercato del patrimonio", mentre l'Idv ha chiesto i costi del provvedimento contro il quale ieri i Verdi hanno organizzato un sit-in di denuncia di fronte a Montecitorio. © Riproduzione riservata (14 maggio 2010) Tutti gli articoli di Economia
Via libera al federalismo demaniale Bossi: "Questa è la prima tappa" La commissione Bilancio fissa quattro paletti. Il Pd si astiene, l'Idv vota a favore. Berlusconi: "Quello fiscale sarà lo strumento più efficace di contrasto nei confronti dell'evasione". Via libera al federalismo demaniale Bossi: "Questa è la prima tappa" ROMA - Via libera della commissione Bilancio della Camera al decreto legislativo sul federalismo demaniale. Divise le opposizioni con il Pd che si è astenuto, l'Udc che ha votato contro e l'Italia dei Valori che vota sì. Si tratta del primo decreto attuativo del federalismo fiscale che domani mattina sara' all'esame del Consiglio dei ministri. A inizio giugno sarà invece pronto il secondo decreto legislativo, quello sulle entrate. "Sono molto contento, oggi il federalismo è partito: abbiamo raggiunto la prima tappa importante" commenta il leader della Lega Umberto Bossi. E Silvio Berlusconi nell'anticipazione del libro di Bruno Vespa spiega: "Il federalismo fiscale sarà lo strumento più efficace di contrasto nei confronti dell'evasione". Il testo. Tra le osservazioni, la commissione chiede al governo di "predisporre nei tempi più brevi consentiti l'elenco dei beni da trasferire e di comunicare alle camere", anche insieme alla relazione prevista dalla legge sul federalismo fiscale, "le minori spese stimate conseguenti all'attribuzione dei beni" previsti dal provvedimento. Come condizioni si afferma che non dovranno essere trasferiti beni pubblici agli enti locali in dissesto. Altro vincolo posto è che le risorse derivanti dalla vendita di questi beni vadano a riduzione del debito e, in sua assenza, solo a copertura di spese per investimenti e non per la spesa corrente. La ripartizione fra stato ed enti è fissata al 25% e 75 per cento. La commissione ritiene poi che alle spese per la gestione e manutenzione dei beni trasferiti non si debbano applicare i vincoli relativi al patto di stabilità interno entro il limite degli oneri già sostenuti dallo stato. Infine, la commissione bilancio ritiene che l'alienazione degli immobili debba avvenire "previa attestazione della congruità del valore" del bene da parte dell'agenzia deldemanio o dell'agenzia del territorio, da rilasciare entro 30 giorni dalla richiesta. Intesa Idv-governo. "Punto d'incontro" tra Idv e governo sul federalismo demaniale. Un'intesa sancita dalla conferenza stampa comune tra Antonio Di Pietro e il ministro per la Semplificazione normativa, Roberto Calderoli. Fianco a fianco per l'annuncio ufficiale del sì dell'Idv alle nuove norme sul federalismo demaniale (il cui decreto sarà varato domani in consiglio dei ministri). "L'Idv si assume la responsabilità delle proprie decisioni e dice sì al termine di un lavoro condotto senza contrapposizioni preconcette. Chi, invece, si astiene - sottolinea Di Pietro tirando una frecciata al Partito democratico che oscilla tra l'astensione e il no - dimostra di non essere nè carne nè pesce". Per i Verdi, invece, si profila una corsa alla cementificazione selvaggia. "I comuni, infatti nell'80% dei casi saranno costretti alla vendita non solo per ripianare il debito, come espressamente previsto dal ministro Calderoli, ma anche perchè i deficit di comuni, province e regioni non consentono di sostenere i costi di manutenzione e gestione dei beni" dice il presidente Angelo Bonelli. "Il testo è stato migliorato ma non in modo totalmente soddisfacente" spiega il presidente dei deputati del Pd Dario Franceschini. Calderoli: "Non ci sono costi occulti". Il ministro torna sui costi della riforma, al centro di una lunga querelle con l'opposizione, spiegando che "il federalismo nasce proprio per ridurli, per ridurre la pressione fiscale e dare più servizi". "Solo se lo si applica male - conclude Calderoli - nascono delle duplicazioni e noi in questo momento stiamo proprio tagliando quelle che sono state fatte in passato. Quindi parlare di costi occulti è un non-sense".
Berlusconi: "Nessun taglio della tasse". "La crisi non consente un taglio delle tasse che sarà, invece, un "dividendo del federalismo fiscale". Sarà possibile solo quando i conti pubblici lo consentiranno, grazie al "miracolo" compiuto dal Governo. Così Berlusconi in un'intervista che comparirà nel nuovo libro di Bruno Vespa. mentre Bossi si dice infatti 'tranquillo' e a chi gli domanda se l'Italia corra rischi di crisi economica risponde: "No, spero di no". (19 maggio 2010)
COMMENTO La bandiera strappata del federalismo di MASSIMO GIANNINI Il parziale sblocco del cosiddetto federalismo demaniale non deve ingannare. L'avvio del censimento dei beni pubblici da "devolvere" alle autonomie locali è poco più che un passo nel vuoto del mitico "federalismo italiano". Il più drammatico "effetto collaterale" della tragedia greca che ha sconvolto i mercati, infatti, riguarda proprio il federalismo fiscale. Nel governo berlusconiano e nella maggioranza forzaleghista nessuno ha il coraggio di dirlo pubblicamente, al Paese e al Parlamento. Ma è ora di chiarire l'equivoco. Il federalismo fiscale non si fa più. E' ormai fuori dall'agenda della legislatura. Il vessillo della Lega, l'obiettivo mistico vagheggiato da Bossi fin dai tempi dell'ampolla pagana sul Dio Po, sventola ormai solo nelle adunate padane del Carroccio. Ma non sventola più sui palazzi romani, da Palazzo Chigi a Via XX Settembre. Anche se non lo confessa, perché non può farlo per evidenti ragioni politiche, quella bandiera l'ha ammainata Giulio Tremonti per ragioni economiche. Costretto dal collasso della Grecia e dall'attacco della speculazione contro la moneta unica e i debiti sovrani di Eurolandia. Il ministro del Tesoro deve alzare le mani. Per il federalismo fiscale non c'è un euro a disposizione. Dopo mesi di silenzi e di equivoci sul costo effettivo dell'operazione, è ormai chiaro a tutti che non ci sono le risorse necessarie per farla decollare. Fatta la legge delega, una scatola vuota costruita solo per accontentare la Lega, ora non c'è niente da mettere dentro i decreti delegati. C'è un vincolo "interno", che pesa come un macigno. E' il debito degli enti locali sul versante sanitario, che a legislazione vigente impone ad almeno quattro regioni (Lazio, Campania, Calabria e Molise) di ripianarlo a colpi di inasprimenti fiscali. Ed è, più in generale, il costo stimato del federalismo tanto caro al Senatur. L'ultima stima, aggiornata sui bilanci delle regioni nel 2008, l'ha fornita la Commissione tecnica paritetica per il federalismo, nel rapporto curato da Luca Antonini e appena depositato in Parlamento. E' una cifra scioccante: per assicurare il passaggio al federalismo nelle materie strategiche (cioè sanità, istruzione e assistenza sociale) occorrerebbero quasi 133 miliardi di euro calcolati in termini di spesa storica (caratterizzata da sprechi, iniquità e inefficienze di ogni genere). La riforma federale, com'è noto, ruota intorno al principio dei "costi standard" delle prestazioni, cioè quelli considerati ottimali secondo i livelli dei servizi raggiunti dalle regioni più efficienti. Ebbene, anche a voler dimezzare l'esborso necessario, nel passaggio dalla spesa storica a quella standard, il federalismo fiscale costerebbe allo Stato non meno di 60 miliardi. Dove può trovarli, il pur fantasioso Tremonti, dentro un bilancio pubblico in cui non c'è un centesimo neanche per finanziare uno 0,1 per cento di sgravi dell'Irpef sulle famiglie meno abbienti?
Ma c'è soprattutto un vincolo "esterno", che è tornato più che mai a gravare sulle antiche disinvolture contabili del Paese. C'è un prestito ad Atene da 5,5 miliardi, da approvare nei prossimi giorni. C'è una manovra aggiuntiva in agguato, tra l'estate e l'autunno, che porterà l'insieme delle misure di contenimento del deficit e del debito a sfiorare i 30 miliardi. E c'è un'Europa in questo momento a forte impronta tedesca, ben rappresentata dalla Commissione europea e dalla Bce, che in cambio del colossale piano di aiuti per difendere i debiti sovrani esige cure draconiane dagli stati membri più esposti. L'Italia è tra questi, nonostante le chiacchiere consolatorie del governo. Quando in una "normale" giornata sui mercati finanziari gli speculatori "puniscono" la Borsa di Milano e quella di Madrid, mentre premiano quella di Francoforte, c'è con tutta evidenza un giudizio di merito che non riguarda solo l'alta esposizione debitoria di uno Stato, ma l'inadeguatezza competitiva di un intero Sistema-Paese. E quando a Bruxelles nasce un "superpotere" che impone ai singoli governi di anticipare alla prima parte dell'anno i programmi di stabilità e irroga sanzioni più severe ai paesi che sforano, fino ad imporgli un deposito cauzionale "in caso di politiche di bilancio inadeguate", allora è evidente che l'Italia non ha più alcun margine di autonomia. Siamo a tutti gli effetti un Paese "a sovranità limitata". Per questo, nonostante gli artifici verbali del "mago dei numeri" che abita al ministero dell'Economia, non ci sono e non ci saranno i soldi per il federalismo fiscale. Sarebbe il caso di ammetterlo, con grande onestà e assoluta chiarezza. Ma le conseguenze politiche di questo riconoscimento sono devastanti. Chi può assumersi questo compito immane? Nessuno ha il coraggio, tra Berlusconi, Bossi e Fini, che "Economist" in uscita oggi definisce sprezzantemente "The three Stooges", i "Tre marmittoni", riprendendo una vecchia serie televisiva americana degli anni '40. "L'effetto della decentralizzazione federale - scrive persino il settimanale inglese - sarà quello di aumentare la spesa, non certo di ridurla". Per questo, dichiarare apertamente di fronte ai cittadini e alle Camere che il federalismo fiscale salta, significa proclamare sostanzialmente finita l'attuale maggioranza e virtualmente conclusa la presente legislatura. Nelle condizioni attuali, interne e internazionali, tutto questo può avere due sbocchi. Uno porta dritto alle elezioni anticipate. Bossi e i suoi ministri, a Roma, non possono incassare la sconfitta sul federalismo, senza pagare un pegno elevatissimo nelle valli padane dove hanno trionfato grazie a quel feticcio verde sospeso tra politica e mitologia. Dunque la Lega, se con il federalismo perdesse la sua "ragione sociale", aprirebbe subito la crisi e punterebbe al voto anticipato. Anche Berlusconi, a sua volta inguaiato dagli scandali nel Pdl e imbrigliato dai Poteri Forti delle tecnocrazie europee, sarebbe pronto a cavalcare la rabbia leghista, e a tornare alle urne. Ci sarebbe già una data, secondo i bene informati: marzo 2011. Ma c'è una variante, ed è proprio l'Europa. Con questa crisi rovinosa, e con il fucile puntato della speculazione sul mercato dei titoli di Stato, non c'è spazio per elezioni anticipate. Sarebbero un suicidio, che il Paese rischierebbe di pagare con la bancarotta. Il presidente della Repubblica non scioglierebbe mai le Camere, e un governo di salute pubblica, magari con Mario Draghi premier, otterrebbe davvero una maggioranza "in dieci minuti", come disse Casini qualche mese fa. Per questo, alla fine, lo sbocco più probabile di questa situazione porta a una crisi di fatto, anche se non di diritto. Ad un impasse totale: né elezioni anticipate, né riforme. Il nulla, cioè. Un governo di pura sopravvivenza, sotto tutela e praticamente "commissariato" da Bruxelles, che per i prossimi tre anni si limita a non fare e a non spendere, per non dover poi portare i libri in tribunale. E' il peggiore degli incubi. Non solo per Berlusconi che ormai, comunque vada, si avvicina al capolinea. Ma per tutti gli italiani che aspettano più lavoro, più crescita, meno sprechi e meno tasse. m.giannini@repubblica.it © Riproduzione riservata (14 maggio 2010) Tutti gli articoli di Economia
SANITA' Cdm: niente fondi Fas a quattro Regioni "Saremo costretti ad aumentare le tasse" Lazio, Campania, Molise e Calabria dovranno ritoccare verso l'alto le addizionali, fino al completo ripianamento. Iorio: "E' iniquo e assurdo". Il ministro Fazio: "I fondi per le aree sottosviluppate non sono un bancomat" Cdm: niente fondi Fas a quattro Regioni "Saremo costretti ad aumentare le tasse" Il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli ROMA - Le regioni con il deficit sanitario più alto dovranno aumentare le tasse fino al ripianamento. E' quanto il governo ha chiesto a Lazio, Campania, Molise e Calabria, oggi nel corso del Consiglio dei Ministri, al quale hanno partecipato anche i governatori delle Regioni con la sanità in rosso. Il governatore del Molise, Michele Iorio, ha definito "assurdo, iniquo e incomprensibile" il suggerimento del governo di aumentare le addizionali regionali fino al ripianamento del deficit sanitario. Il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, ha riferito che il Consiglio dei ministri è stato presieduto da Altero Matteoli, vista l'assenza del premier Silvio Berlusconi. Abruzzo e Sicilia non si troveranno invece nella situazione di dover alzare le addizionali regionali: "Io lo sapevo da tempo ma è una buona notizia per tutti gli abruzzesi. L'Abruzzo è chiamato fuori", ha detto Gianni Chiodi, governatore della regione. L'esclusione dai fondi Fas non riguarda neanche la Sicilia. "Abbiamo i conti a posto, come del resto aveva certificato proprio il mese scorso il tavolo tecnico ministeriale, e di conseguenza non solo non dovremo aumentare le tasse ai siciliani, che anzi contiamo di ridurre a partire dal 2011, ma ci viene data una ulteriore opportunità di poterci avvalere, nel caso di qualche criticità nei conti del bilancio nella Regione, anche dell'importante strumento finanziario rappresentato dai fondi Fas, la cui naturale destinazione è quella di servire lo sviluppo della Sicilia", ha commentato l'assessore siciliano alla Salute, Massimo Russo, al termine del Consiglio dei ministri di questa mattina.
Mentre le quattro Regioni escluse dai Fondi Fas contestano la direttiva del governo: "Noi siamo al massimo e questo significa che dovremo mettere i tributi al massimo del massimo", ha detto il governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti. "Si tratta del risultato della pessima gestione della cosa pubblica che abbiamo ricevuto in eredità. Siamo in difficoltà perchè riteniamo che i fondi Fas siano necessari per rilanciare l'economia della nostra regione. La Calabria ha poi un altro problema serio: ancora oggi non abbiamo la certificazione del debito. Qualcuno dice che è 2,1 miliardi, i nostri tecnici parlano di 1,1 miliardi. Non possiamo andare avanti così", ha spiegato ancora Scopelliti, ricordando che "il piano di rientro è stato approvato il 17 dicembre, ma Loiero non è riuscito a farlo in cinque anni ed è impensabile farlo in tre mesi, con le elezioni di mezzo". Nel comunicato pubblicato al termine del Consiglio dei ministri si legge che "In considerazione del mancato raggiungimento degli obiettivi previsti dai piani di rientro e dagli equilibri di finanza pubblica, il Consiglio ha concordato circa l'impossibilità di esprimere l'intesa prevista dall'art.2, comma 90, della legge finanziaria per il 2010 e di non potere pertanto consentire alle Regioni Lazio, Campania, Molise e Calabria di utilizzare le risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate, relative ai programmi di interesse strategico regionale, a copertura dei deficit del settore sanitario. Hanno partecipato alla discussione i presidenti delle Regioni interessate". "Siamo in una situazione che non può consentire di utilizzare fondi Fas come un bancomat. - conferma il ministro della Salute Ferruccio Fazio - Il governo ha ritenuto di non dare il via libera alle richieste di utilizzo dei Fas per ripianare i deficit di 4 regioni: Campania, Lazio, Molise, Calabria. La motivazione è che queste regioni non hanno dato delle garanzie ai Tavoli tecnici di monitoraggio per quanto attiene la certezza di avere dei conti certi da un lato e soprattutto di aver avviato dei processi di riqualificazione di quella che è la rete assistenziale". (13 maggio 2010) Tutti gli articoli di Economia
2010-05-11 RIFORME Federalismo, l'altolà della Cei "Così com'è è destinato a fallire" Vescovi a tutto campo su revisioni costituzionali, economia e immigrazione: "Si rischia di rafforzare il centralismo e indebolire la sussidiarietà". Il vice presidente della commissione antimafia, Granata: "Alto e nobile il richiamo per nuove politiche di cittadinanza" Federalismo, l'altolà della Cei "Così com'è è destinato a fallire" Il presidente della Cei, Angelo Bagnasco ROMA - "Il federalismo fiscale è destinato a fallire". E' severa la bocciatura che arriva dalla Cei e dal laicato cattolico organizzato sull'attuale fase di sviluppo del processo federalista. Per i vescovi il sistema fiscale "è l'architrave" del processo federalista ma così come è stato concepito "rischia di moltiplicare il centralismo senza aprire la porta alla sussidiarietà e ai poteri decentrati sul territorio". Una trasformazione che riguarda un Paese "che si trova oggi ad affrontare le prove della globalizzazione da media potenza declinante". La lezione dei vescovi è tutta in queste parole: intraprendere, educare, includere le nuove presenze, slegare la mobilità sociale, completare la transizione istituzionale. La critica dei vescovi è contenuta nel documento preparatorio della prossime "Settimane sociali", appuntamento storico del cattolicesimo italiano che si terrà a Reggio Calabria a ottobre. Un testo frutto di mesi di elaborazione e di consultazione di diocesi, realtà associative, personalità del mondo della politica e dell'economia. Tra le varie questioni esaminate, spicca, appunto, il federalismo. Tema accompagnato da una domanda: "Nelle attuali condizioni politico-istituzionali, trova soddisfazione il principio di sussidiarietà?". Chiara la risposta: "Al momento si prevedono dosi massicce di uniformità anche per i territori fiscalmente autosufficienti, rimettendo in moto un meccanismo centralistico che non fa crescere poteri e responsabilità, che rende un servizio incerto al principio di solidarietà e dimentica i pregi sistemici del principio di sussidiarietà". "Ciò si manifesta - si legge ancora nel documento - nel caso della sanità e richiama più in generale la necessità di garantire i livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio nazionale. Il diritto alla vita diviene un esercizio retorico senza quello a un'adeguata assistenza sanitaria". Per i vescovi siamo in presenza di "spinte contrapposte" che si faranno sentire nella stesura dei decreti legislativi. "In questa fase - si osserva ancora - potrà prevalere una coalizione di interessi favorevole a un nuovo equilibrio tra promozione delle differenze e riduzione delle diseguaglianze oppure quella opposta. Abbiamo soggetti e interessi pronti a sostenere un equilibrato modello italiano di federalismo fiscale, anche oltre il perimetro degli interessi economici". Ed è a questo punto che arriva la rivendicazione del ruolo del mondo cattolico. Che, per patrimonio culturale e per configurazione organizzativa, "dispone della cultura e delle strutture appropriate per diventare uno dei principali attori di sostegno del processo di redistribuzione dei poteri e delle risorse tra i diversi livelli di governo". In linea con la posizione della Cei si è detto anche il presidente della commissione lavoro della Camera Silvano Moffa, del Pdl. "Condivido la riflessione della Cei - ha detto Moffa -, un federalismo fiscale che non sia accompagnato da un tasso di solidarietà e da una costruzione che miri a superare le disuguaglianze e a far sì che ci sia davvero coesione sociale può effettivamente creare dei rischi di ulteriori divaricazioni e separazioni in un sistema paese che di tutto ha bisogno tranne che di dividersi". La Cei chiede che venga completata "la transizione istituzionale". Con un avvertimento: "Non dobbiamo sbagliare la prospettiva: è l'incertezza del modello così come lo vediamo oggi realizzato a generare continue tensioni per l'equilibrio costituzionale, non il suo auspicabile coerente completamento". Su questo tema i vescovi rivendicano il loro protagonismo. "Come cattolici, non possiamo guardare alla transizione delle istituzioni politiche con gli occhi dell'osservatore esterno", afferma il comitato preparatore delle settimane sociali - Va attribuita un decisa priorità al problema della forma di governo, inclusi i suoi contrappesi e una conforme legge elettorale".
Altro tema preso in esame è quello del debito pubblico destinato a pesare sulle future generazioni: "Le risorse pubbliche rappresentano l'altro versante di un sacrificio già superiore alla media: massima deve essere la tensione, perché massima sia la resa di ogni singolo elemento della spesa nel quadro del controllo dei saldi della finanza pubblica. Nella prospettiva del bene comune, questa ci appare come un'istanza etica, al pari di quella di generare risorse aggiuntive". Per quanto riguarda l'immigrazione la Cei chiede che sia concessa la cittadinanza ai figli degli stranieri. Condizione "di una piena integrazione delle seconde generazioni nella società italiana". Giudizio negativo, invece, per l'attuale legge che "ha finito per trasformarsi in una probatio perversa per migliaia di ragazzi e ragazze, le cui famiglie hanno dovuto seguire un percorso d'emersione dalla irregolarità attraverso sanatorie e regolarizzazioni". Fabio Granata, vice presidente della commissione antimafia ed esponente Pdl vicino al presidente Fini ha definito "Alto e nobile il richiamo della Cei per nuove politiche di cittadinanza". "Il Parlamento, nella sua piena autonomia, discuta liberamente di una norma che promuova integrazione e cittadinanza e apra ai nuovi italiani, sopratutto ai bambini nati in Italia da stranieri regolarmente residenti da almeno 5 anni'', ha detto il parlamentare. ''Oltre 650.000 nuovi italiani - ha ricorda il parlamentare Pdl - possono dare nuova linfa alla nazione e contribuire ad aprire una nuova epoca''. (10 maggio 2010)
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L'UNITA' per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.unita.it2010-05-11 |
il SOLE 24 ORE per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.ilsole24ore.com/2010-05-14 L'Economist boccia il federalismo fiscale di Andrea Franceschi 13 maggio 2010 L'Economist boccia il federalismo fiscale. "Ogni forma di decentramento - scrive il settimanale - rischia di far aumentare, almeno nell'immediato, la spesa pubblica del paese". E questo allontanerebbe l'Italia dall'Unione europea, sempre più orientata verso una stretta sui conti pubblici dei paesi membri, alla luce della crisi dei debiti sovrani che ha colpito il Vecchio continente. Spagna e Portogallo hanno varato un piano "lacrime e sangue" per ridurre il deficit. Misure rese necessarie dopo che i giudizi negativi delle agenzie di rating hanno messo in discussione la loro stessa solvibilità e la speculazione ha preso di mira i loro titoli di Stato mettendo in crisi la sopravvivenza stessa dell'euro. Solo un intervento in extremis di Banca centrale europea ed Ue ha tranquillizzato i mercati. La strada verso la soluzione della crisi dei debiti sovrani che ha colpito l'Eurozona è comunque ancora lunga. Le mosse della Commissione europea verso la revisione del patto di stabilità vanno nella direzione di un maggiore rigore sul fronte dei conti pubblici. Sul nostro Paese, che pure è riuscito a tenere sotto controllo il deficit, pende la spada di Damocle del debito pubblico, che ha superato il 118% del Pil. Un parametro che, alla luce degli ultimi orientamenti dell'esecutivo comunitario, rendono anche il nostro paese un sorvegliato speciale. L'Italia, come tutti i paesi dell'Unione europea, dovrà mettere in atto le riforme necessarie per mettere in ordine i suoi conti pubblici. E il federalismo fiscale, che il governo Berlusconi si prepara a varare nell'anno del 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia va in questa direzione? Si secondo la Lega Nord, che del federalismo ha fatto la sua bandiera. La riforma sarà a costo zero per lo Stato e in prospettiva garantirà una gestione più oculata della spesa pubblica. Di diverso avviso l'Economist. In un articolo dedicato al 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia ma titolato "Forze centrifughe", il settimanale britannico fa il punto sulle divisioni tra i leader della maggioranza, Berlusconi, Bossi e Fini. Lontani anche sul federalismo. La riforma è giudicata in contrasto con gli orientamenti che stanno emergendo in Europa sulla spinta della crisi del debito. "Nell'immediato - scrive il settimanale - ogni forma di decentramento non farà altro che incrementare la spesa pubblica piuttosto che ridurla" . Partita federalista da 133 miliardi (di Eugenio Bruno) 13 maggio 2010
Partita federalista da 133 miliardi di Eugenio Bruno commenti - 1 | Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci 13 Maggio 2010 Quasi 133 miliardi di euro. Tanto ci vorrebbe per assicurare il passaggio al federalismo nelle materie core (sanità, istruzione e assistenza sociale) se ancora si ragionasse in termini di spesa storica. Almeno stando ai dati contenuti nei bilanci regionali 2008, raccolti dalla commissione tecnica paritetica per il federalismo (Copaff) guidata da Luca Antonini che li ha depositati in parlamento. Ora toccherà ai costi standard riuscire a diminuire l'esborso.
I dati Si tratta di numeri imponenti. Non tanto per le dimensioni (circa 2.000 pagine solo per le regioni) quanto per i contenuti. Innanzitutto, perché tutte le cifre sono state inviate secondo un unico un schema comune di contabilità e riclassificate per funzione; in secondo luogo, perché costituiranno la base per le simulazioni dei vari gruppi di lavoro che compongono la Copaff e per la relazione che il governo presenterà alle camere entro il 30 giugno e che permetterà di capire quanto varranno le poste più importanti del federalismo fiscale (autonomia tributaria di regioni ed enti locali, costi standard, perequazione). E, dunque, per stabilire se la riforma sarà a costo zero, come sostengono da mesi la Lega e una parte del Pdl e del Pd, oppure no, come temono i centristi e i finiani.
La "forbice" Il primo elemento che balza agli occhi è che, anziché convergere, entrate e uscite regionali restano a debita distanza. Sia nei territori a statuto ordinario che in quelli speciali. Tant'è che gli impegni di spesa complessivi salgono dai 219,8 miliardi di euro del 2006 ai 249,3 del 2008 con un aumento del 13,4 per cento. Una crescita dovuta soprattutto al boom della spesa corrente (+19,4%). Anche se anziché sugli impegni di spesa ci si concentra sui pagamenti il quadro non muta poiché dai 203,3 miliardi di quattro anni fa si arriva ai 246,2 di due anni dopo. Un trend che neanche l'aumento registrato nello stesso periodo dalle entrate – cresciute in 24 mesi da 204,3 a 234,1 miliardi di euro – riesce a sterilizzare.
Le voci di spesa Come prevedibile la voce più "pesante" resta la sanità: 125 miliardi di euro nel 2008, di cui oltre 110 di parte corrente. Laddove due anni prima tali valori erano fermi, rispettivamente, a 97,5 e 86,5 miliardi di euro. Ciò significa che gli impegni di spesa legati alla tutela della salute e al funzionamento delle sue strutture nel 2006 assorbivano il 69,2% delle spese correnti e due anni dopo il 73,3 per cento. Altre conferme emergono dalla ripartizione territoriale con il Lazio che, nel 2008, vale da solo il 13,8% del bilancio sanitario nazionale. Che diventano il 27,6% se s'includono le altre regioni commissariate (Campania e Molise perché per l'Abruzzo mancano i dati, ndr) o commissariabili (Calabria) per i conti in "rosso".
Il budget I dati citati testimoniano che proprio sulla sanità si giocherà la partita decisiva del federalismo fiscale. Se aggiungiamo le altre due materie – istruzione e assistenza sociale – che andranno finanziate e perequate (nel caso dei territori in ritardo) al 100%, emerge la dimensione della "torta" che la riforma dovrà assicurare: circa 132,8 miliardi di euro, pari al 53,2% delle uscite complessive. Una quota che supera il 77% se ci si limita alle spese correnti. Ebbene, questo sarebbe il budget necessario all'attuazione minima della riforma se si ragionasse ancora in termini di spesa storica. Ma che ora potrà diminuire quanto più risparmi il passaggio ai costi standard sarà in grado di assicurare. Fermo restando che al di sotto di una determinata soglia non si potrà comunque scendere visto che in ogni regione andranno garantiti i livelli essenziali delle prestazioni fissati per legge. Di conseguenza, per non sforare, i governatori dovranno tirare la cinghia negli altri campi, che potranno ripararsi solo parzialmente sotto l'ombrello della perequazione. Un menù ricco. Non solo perché, stando ai numeri 2008, vale circa 117 miliardi di euro ma anche perché conta settori cruciali per il rilancio dei singoli territori: dall'ambiente allo sviluppo economico, dal lavoro al turismo, fino ai beni culturali. 13 Maggio 2010
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